Un’opera d’arte ci racconta sovente una realtà storica e, contemporaneamente, ci parla anche della realtà odierna, svelando arcaiche origini di relazioni sociali e, nel medesimo tempo, i mutamenti che tali relazioni hanno subíto o subiranno.
Questo è il caso della Vocazione di San Matteo, che esprime perfettamente la realtà del tempo rappresentato nel quadro, quella del tempo dell’autore e la realtà odierna, palesando la difficile relazione tra fisco e contribuente, tra il peccatore Matteo e gli uomini del suo tempo che si sentono defraudati dalle imposte riscosse per uno Stato terzo.
Questa percezione collettiva, attualissima, è certamente collegata all’eccessivo carico tributario e al suo tecnicismo esasperato, ma è anche connessa alla diffidenza nella correttezza dell’operato dell’autorità tributaria, che si avverte estranea, esattamente come i romani per i palestinesi del tempo, alimentando spinte autonomistiche nelle realtà locali.
È il sopruso, l’uso improprio del ruolo ad alimentare il peccato, non è il tributo ad essere peccaminoso. Al centro del quadro è l’uomo e non la funzione: è l’etica dell’attuazione dell’imposta ad essere discussa e su tali aspetti provo a ragionare in:
http://amsacta.unibo.it/6017/1/Salvati_ISLL_Papers_2018_vol11.pdf