Poco prima dell’estate è stata pubblicata un’interessante deliberazione della Corte dei conti, in materia di anagrafe dei rapporti finanziari, che ha avuto poco seguito nell’informazione tributaria. Vorrei spendere qualche riga intorno a questo studio, perché alcune delle conclusioni che vengono raggiunte dalla Corte dei conti stimolano ulteriori riflessioni sull’orrendo Moloch costituito dall’anagrafe dei rapporti.
L’assunto di fondo della deliberazione della Corte dei conti è questo: l’anagrafe dei rapporti finanziari è uno strumento potentissimo, che potrebbe avere un ruolo di impatto nella repressione dell’evasione, e viene, invece, sottoutilizzato dall’Agenzia delle entrate. Emerge dalla deliberazione uno stimolo verso un’azione più frequentemente incentrata sull’anagrafe dei rapporti.
Per la rappresentazione della posizione della Corte dei conti si può vedere la sintesi del documento a pag. 11-12 e più estesamente nel testo a pag. 36-40.
Su questa conclusione e su questo auspicio possono essere fatte tre brevissime chiose.
(1) MEGLIO DOPO CHE PRIMA.
Non è compito della Corte dei conti domandarsi se il legislatore abbia scelto la strada giusta. Io, però, posso domandarmelo. La risposta che mi dò è molto lineare: l’archivio dei rapporti finanziari è uno strumento pericolosissimo e che non porta benefici di rilievo rispetto al rischio che comporta.
In estrema sintesi: con una disposizione di vero assolutismo fiscale e contraria ad ogni minima parvenza liberale, nel 2011 si è deciso di consentire la costruzione di un archivio A PRIORI dei rapporti finanziari. Il legislatore ha creduto che non fosse sufficiente mantenere l’archivio anagrafico dei rapporti (da cui desumere con quali intermediari i contribuenti avevano intrattenuto rapporti), costruendo poi una veloce via di accesso ai dati richiedibili agli intermediari. Ha creduto opportuno dare vita, invece, ad una banca dati contenente direttamente i dati che potrebbero essere utilizzati nella fase di controllo.
Bisognerebbe indagare quanto una simile banca dati, costruita a priori, per tutti i cittadini (anche per coloro che non hanno mai manifestato alcuna pulsione evasiva) abbia un qualche riscontro in altri paesi OCSE. Mi aspetterei ben poche esperienze comparabili…
Si tratta di una banca dati pericolosissima, perché costruisce un bersaglio di grande appetibilità non solo per la criminalità organizzata, ma anche per tutti quei poteri (più o meno opachi) istituzionali che hanno interessi (più o meno confessabili) a conoscere la vita economica di larghe parti della cittadinanza. Si tratta della costruzione di uno strumento perfetto per qualsiasi assolutismo dell’epoca dell’informazione.
In conclusione: meglio sarebbe stato mantenere l’anagrafe delle semplici intestazioni, consentendo solo per i casi assoggettati a verifica, una canale rapido di accesso ai dati. Costruire una banca dati a priori, contenente i movimenti finanziari per tutti i contribuenti, significa dare vita ad un oggetto che mette in pericolo la vita economica e democratica del Paese.
(2) TANTI QUANTI?
La Corte dei conti lamenta un sottoutilizzo dello strumento: troppi pochi accessi alla banca dati. A pag. 33-34 della Deliberazione si trova una tabella riassuntiva degli accessi.
Prendiamo in considerazione il 2016. Quasi tremila accessi autorizzati da parte dell’Agenzia delle entrate per indagini finanziarie. A questi va aggiunta una quota dei circa 208.000 effettuati dalla Guardia di finanza. Poniamo che il 5% degli accessi della GDF sia indirizzato a fini fiscali (mi pare prudente, come frazione): avremmo circa 10.000 accessi a fini fiscali della GDF, cui aggiungere i quasi tremila dell’Agenzia delle entrate.
Il totale porta a 13.000 accessi alla banca dati.
In valore assoluto, non mi pare che si possano dire pochi. Nella prospettiva del recupero dell’evasione, bisognerebbe vedere a quanto valore accertato corrispondono (e a quanto contenzioso hanno portato).
Bisognerebbe poi considerare se questo tipo di accesso sia parte di una rettifica fondata solo sull’indagine finanziaria, o anche su altri elementi.
Senza contare che una diminuzione degli accessi per indagini finanziarie, rispetto agli anni antecedente il 2014, sconta anche i limiti sempre più ristretti posti prima dalla Corte costituzionale (per i lavoratori autonomi) e poi dal legislatore (per i limiti di rilevanza dei prelievi).
Difficile, allora, dire se questi accessi siano adeguati o meno, sulla base dei pochi dati che l’Agenzia delle entrate fornisce sulla propria azione di repressione. Dati che neppure la Corte dei conti conosce, per inciso.
(3) TANTO PIÙ GRANDE, TANTO MENO MANEGGEVOLE.
Oltre all’utilizzabilità per la repressione specifica di singoli casi di evasione, questa potente banca dati dovrebbe essere utile a fini statistici, per creare un modello di pericolosità fiscale: le informazioni sono utilizzate dall’Agenzia delle entrate “per le analisi del rischio di evasione” (mentre la precedente formulazione indirizzava l’attività non verso un modello, ma verso la ricerca di specifici casi di pericolosità: la disposizione recitava infatti che la banca dati era utilizzata anche “per la individuazione dei contribuenti a maggior rischio di evasione da sottoporre a controllo”).
La Corte dei conti critica la lenta elaborazione di questo modello e la sua sperimentazione da parte dell’Agenzia delle entrate (deliberazione p. 39-40).
Non sarei così critico con l’azione dell’Agenzia, in questo caso. La banca dati contiene i dati delle movimentazioni riferite ad oltre seicento milioni di rapporti (cui corrisponde quasi un miliardo di anagrafiche clienti). Già il bacino di estrazione dei dati è quindi di una ampiezza smisurata e richiede una ponderazione più che attenta di quali dati comparare, per non essere sommersi dal rumore irrilevante.
Inoltre, appare utopistica la formazione di un modello che sia adeguato a rappresentare un’evasione multiforme, che ha forme finanziarie molto varie: sembra quasi una petizione ingenua verso la formula magica di scoperta dell’evasione fiscale.
Anche in questa prospettiva, emerge la criticità di questa enorme banca dati: invece di questa pericolosa e mostruosa raccolta di dati, sarebbe stato più opportuno formare qualche banca dati mirata e specifica, più semplicemente maneggevole.
Riferimenti.
Deliberazione della Corte dei conti: Deliberazione 26 luglio 2017, n. 11/2017/G.
Riferimenti normativi: art. 7 d.p.r. 605/1973; art. 11 c. 2 e c. 4 d.l. 201/2011